L’ORESTE al Teatro Due di Roma - Regia Giuseppe Marini
Articolo di Cosimo Sinforini
L’ORESTE
quando i morti uccidono i vivi
di
Francesco Niccolini con Claudio Casadio
Illustrazioni
di Andrea Bruno, scenografie e animazioni di lmaginarium Creative Studio, musiche
originali di Paolo Coletta, collaborazione alla drammaturgia di Claudio Casadio.
La regia è di Giuseppe Marini.
L’Oreste
è internato nel manicomio dell’Osservanza a Imola. È stato abbandonato quando
era bambino, e da un orfanotrofio a un riformatorio, da un lavoretto a un
oltraggio a un pubblico ufficiale, è finito lì dentro, perché, semplicemente,
in Italia, un tempo andava così. Dopo trent’anni non è ancora uscito: si è
specializzato a trovarsi sempre nel posto sbagliato nel momento peggiore. Non
ha avuto fortuna l’Oreste, e nel suo passato ci sono avvenimenti terribili che
ha rimosso ma dai quali non riesce a liberarsi: la morte della sorella
preferita, la partenza del padre per la guerra, il suo ritorno dalla campagna
di Russia tre anni dopo la fine di tutto e poi la sua nuova partenza, di nuovo
per la Russia, per una fantastica carriera come cosmonauta, e la morte violenta
della madre, una madre che lo ha rifiutato quando era ancora ragazzino con i
primi problemi psichici. Eppure, l’Oreste è sempre allegro, canta, disegna, non
dorme mai, scrive alla sua fidanzata (che ha conosciuto a un ”festival per
matti” nel manicomio di Maggiano a Lucca), parla sempre. Parla con i dottori,
con gli infermieri, con un’altra sorella che di tanto in tanto viene a trovarlo
ma soprattutto parla con l’Ermes, il suo compagno di stanza, uno schizofrenico
convinto di essere un ufficiale aeronautico di un esercito straniero tenuto
prigioniero in Italia. Peccato che l’Ermes non esista. ”L’Oreste” è una
riflessione sull’abbandono e sull’amore negato. Su come la vita spesso non fa
sconti ed è impietosa. E che qualche volta è più difficile andare da Imola a
Lucca, che da Imola sulla Luna.
NOTE
DELL’AUTORE
A prima vista ”L’Oreste” può sembrare un monologo, dato che in scena c’è un
solo attore in carne e ossa. Ma quel che attende lo spettatore è ben altro:
grazie alla mano di Andrea Bruno, uno dei migliori illustratori italiani, e
alla collaborazione con il Festival Lucca Comics lo spettacolo funziona con
l’interazione continua tra teatro e fumetto animato: l’Oreste riceve
costantemente visita dai suoi fantasmi, dalle visioni dei mondi disperati che
coltiva dentro di sé, oltre che da medici e infermieri. I sogni dell’Oreste, i
suoi incubi, i suoi desideri e gli errori di una vita tutta sbagliata
trasformano la scenografia e il teatro drammatico classico in un caleidoscopio
di presenze che solo le tecniche del ”Graphic Novel Theater” rendono
realizzabile: un impossibile viaggio tra Imola e la Luna attraverso la
tenerezza disperata di un uomo abbandonato da bambino, e che non si è più
ritrovato.
Qui a farla da padrone è il tema dell’ abbandono. Questa società che ormai si divide in sintomatici ed asintomatici e che quindi riporta tutti in uno stato infettivo, febbrile, non fa sconti a nessuno. Tutti dobbiamo proteggerci da un male invisibile, dobbiamo guardarci continuamente le spalle. Un semplice gesto come la stretta di mano riporta subito alla paura di un virus. Capirete benissimo che viviamo in una società intimorita, repressa e frustrata. Come se non bastasse, si aggiungono i problemi di tutti i giorni come il lavoro, i rapporti sociali, e per chi vive in Italia, si accompagna la voglia di andare via, di scappare perché in questo paese diventa sempre più difficile vivere!
La
verità non ha bisogno della repressione e il falso, quando si oppone deve
reprimere ogni opinione vera. È più facile ingannare le persone e gli ingannati
non vogliono essere risvegliati. Siamo auto appagati dal reddito di
cittadinanza, da internet, dai social al punto di dimenticare noi stessi. L’Oreste, nel suo piccolo, combatte incessantemente
una vita sfortunata e ci appare, quasi come un eroe. La disperazione che vive
lui interiormente, la viviamo un po’ tutti noi e quindi non resta far altro che
lasciarsi guidare nel suo mondo fatto di sogni, incubi ma soprattutto di
viaggi, il suo, verso la luna!
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